Il restauro è un'attività legata alla manutenzione, al recupero, al ripristino e alla conservazione di manufatti storici, quali ad esempio un'architettura, un manoscritto o un dipinto. Il termine (dal latino restaurare, composto da re di nuovo e staurare con il significato di rendere solido, proveniente dal goticostiuryan) ha nel tempo acquisito vari significati spesso in aperta contraddizione, in relazione alla cultura del periodo e al rapporto di questa con la storia, così da rendere impossibile una definizione univoca. Il significato attribuito ai termini "restauro" e "conservazione" varia notevolmente a seconda degli autori, tanto da trovarli a volte come termini di una alternativa e a volte come intercambiabili.
STORIA
Antichità
Nell'antichità l'attività di restauro era prevalentemente intesa come semplice manutenzione oppure come aggiornamento dell'opera (edificio, opera pittorica, opera di scultura o altro bene mobile) dettato dal gusto del tempo (esempi di questo atteggiamento sono il Tempio Malatestiano di Rimini, trasformazione della Chiesa di San Francesco ad opera di Leon Battista Alberti ed un gran numero di interventi barocchi su chiese medioevali) o da motivazioni ideologiche, ad esempio la trasformazione delle statue greche - trasportate a Roma come bottino di guerra - per adeguarle secondo finalità legate ad interessi politici, e la modifica dei templi dedicati a divinità del pantheon politeista
in chiese cristiane.
Restauro. “Un intervento che mira a restituire all’oggetto la relativa leggibilità e l’uso”. La definizione, riportata nella “Carta della conservazione e del restauro degli oggetti d’arte e di cultura” del 1987, riflette la concezione moderna del termine restauro.
Una lunga elaborazione filologica investe il Restauro, il quale solo negli ultimi due secoli (dal neoclassico ad oggi) ha raggiunto un elevato livello di rigore storico-critico, distinguendosi dai criteri di “adeguamento”, “riprogettazione” delle preesistenze, tanto in voga nei secoli precedenti. A partire dal Settecento, dunque, l’argomento ha assunto una declinazione “critico-conservativa”, sensibile al dovere primario di tutela, perpetuazione, conservazione del manufatto e di lecita modificazione, intesa in termini di reintegrazione delle lacune o di rimozione delle aggiunte improprie. Relazio
ni di profondo intreccio scientifico, che restituiscono un’idea di restauro che raccoglie in sé saperi scientifici ed umanistici, correlandoli in una rete di funzioni compatibili e ben calibrate per il buon mantenimento del manufatto (in sintonia con il concetto di “Conservazione Integrata” espressa nella dichiarazione di Amsterdam del 1975).
Restauro, quindi, “formidabile mezzo di conservazione, per quanto non suo fine”.Prima di soffermarsi sulle recenti modalità di restauro, sembra opportuno fare un excursus storico sul concetto stesso di restauro per comprendere come, nel tempo, la materia sia stata lo specchio dei gusti e degli stili che hanno caratterizzato le diverse epoche.
La più antica notizia circa un intervento di restauro risale al III secolo a.C.: il decreto di Chio del 322 a.C. fa presente l’opportunità di provvedere alla pulitura periodica di una statua, della quale non sappiamo altro.
Notizie dettagliate relative all’antichità sono desunte da Plinio, con il suo capolavoro “Naturalis historia” (I sec. a.C.) e Vitruvio con il “De architettura” (I sec. d.C.): siamo a conoscenza che Greci e Romani prestano particolare attenzione ai materiali da impiegare per l’esecuzione delle opere, prediligendo, di conseguenza, prodotti di riconosciuta durabilità. Oltre alle tipologie materiche, si presta attenzione anche alla tecnica artistica. Si può citare l’uso preferenziale della tecnica a fresco per i dipinti su muro e di quella ad encausto per quelli su tavola allo scopo di proteggerli dai danni dell’umidità.
Si possono riportare diversi esempi di interventi di restauro applicati nell’antichità, come i distacchi di affreschi da supporti danneggiati, con la tecnica detta “a massello”, utilizzata fino al XVIII secolo, la pulitura dei dipinti o delle sculture strofinando la superficie con cenere per togliere polvere e grasso ecc. Tuttavia, più che di restauro vero e proprio, gli antichi Greci e Romani si preoccupano soprattutto della conservazione dell’opera d’arte, intesa in modo diverso rispetto alla concezione moderna. Nel complesso, infatti, come sostiene Cagiano de Azevedo, gli “interventi mirano a riparare il danno subìto più in relazione al soggetto dell’opera che al suo valore artistico”. Tutto questo, perché l’opera d’arte deve assolvere al compito di portatrice del “messaggio” religioso e politico in modo inalterato. La sua “leggibilità” deve perpetuarsi nel tempo. Poco importa se restaurata o riprodotta. Entrambi i metodi sono validi, purché garantiscano le suddette peculiarità. L’attenzione è rivolta principalmente alle opere di pregio; quelle di scarso valore, invece, vengono distrutte per fare materiale di riutilizzo.
Il Cristianesimo
Si deve aspettare la tarda antichità, e precisamente S. Cipriano(?- 258), per trovare, chiaramente espresso, il concetto che qualsiasi restauro di completamento è un’azione ingiuriosa sia verso l’opera sia verso l’autore. Malgrado la presa di coscienza da parte di alcuni intellettuali circa le concezioni, moderne del restauro, durante il Cristianesimo, prevale sempre il soggetto dell’opera, o meglio il suo messaggio, più che il suo valore artistico. Non si dimentichi, tuttavia, che questa caratteristica scaturisce dal fatto che modalità di elaborazione del fare restauro riflette le vicende storico-politiche del tempo.
Anche se è pervenuta alcuna fonte cartacea in merito, (ma sono eloquenti le numerosissime opere palinseste rinvenute nelle catacombe) durante il Cristianesimo, si ha il fiorire della produzione iconografica del nuovo culto: già i primi cristiani (III- IV sec d. C.) rappresentano le loro immagini devozionali in condizioni di buona leggibilità. Peculiarità che deve mantenersi inalterata nel tempo. Non importa se sottoposta a rifacimento o ridipintura. Il restauro mira a quanto già ribadito poc’anzi: “conservare” il messaggio, non la valenza estetica dell’opera.
Il Medioevo
Per avere altre testimonianz
e di restauri dopo Vespasiano (69-79), occorre giungere al Medioevo. Identificato erroneamente come il “periodo buio”, il Medioevo è ricchissimo di testimonianze artistiche, sia di beni mobili che immobili, veicolo principale di esibizione della ricchezza e del potere, strumento indissolubile di comunicazione visiva. Dai castelli, alle cattedrali, ai monasteri, alle sculture, tutta l’Europa si veste di sfarzo. Politica e religione vivono in stretto rapporto: l’uno si alimenta dell’altro e viceversa. E ancora una volta, si pone attenzione al messaggio più che all’ estetica.
Questa pluralità di manifestazioni architettoniche ed artistiche non sono caratterizzanti di tutto il Medioevo, che raggiunge una dimensione temporale di ben 1000 anni. Infatti, per comprendere appieno l’evoluzione della concezione del restauro architettonico, bisogna avvalersi della bipartizione che convenzionalmente si è fatta in ambito storico, vale a dire, l’Alto Medioevo(VI - X) e il Basso Medioevo (XI - XV).
Nell’Alto Medioevo, soprattutto a causa delle invasioni barbariche
e alle persecuzioni cristiane, gli “interventi” sulle opere d’arte sono essenzialmente di carattere distruttivo e a questi segue, talvolta, il reimpiego o la manipolazione dei materiali di spoglio. L’esempio più importante è la distruzione e i rifacimenti dei manufatti dovuti all’ Iconoclastia, iniziata dall’imperatore Leone III (795-816) nel 726 e terminata nell’843 in seguito alla condanna, da parte dell’imperatrice Teodora (842 – 858).
Secondo i dettami degli iconoclasti, le immagini di Gesù Cristo, della Madonna o dei Santi devono essere distrutte e sostituite con semplici croci o motivi ornamentali. Per due motivi. Primo perché, è impossibile rappresentare l’entità divina; secondo perché, le fattezze umane potrebbero portare i fedeli a sollecitare i “sensi” terreni e, quindi, distoglierli dalla dimensione spirituale.Numerose, poi, come già scritto, le distruzioni da parte dei Barbari, così come i rimaneggiamenti delle opere delle epoche precedenti e le nuove costruzioni. I popoli barbari, infatti, dopo un’invasione disastrosa a causa dei saccheggi perpetrati, hanno compreso quanto il messaggio non verbale (la costruzione degli edifici) sia diretto ed efficace per la legittimazione e il possesso del potere.
Il valore del materiale, la funzione d’uso e il significato ideologico dell’oggetto sono le linee guida che concorrono, per tutti questi secoli, a mantenere in vita il manufatto e, conseguentemente, a guidare le operazioni di restauro. Occorre sempre ristabilire l’integrità dell’opera, ripararla dai danni subiti, semmai rimaneggiandola e/o attualizzando ai gusti del tempo o a innovazioni di culto. Si arriva, così, al Basso Medioevo. In questo periodo, si assiste, ad una vivace pluralità artistica ed architettonica. I primi interventi di “restauro” sono fatti su manufatti di carattere devozionale. Come nel periodo romano, via libera a trasformazioni, a nuovi adattamenti e rifacimenti più o meno radicali, sulle opere del passato.Tale prassi operativa dei rifacimenti e delle ridipinture produce una stratificazione degli interventi “ricostruttivi” succedutisi nel corso del tempo, che ne ha fatto delle opere palinseste.
Una consuetudine ordinaria di questo tipo di interventi di manutenzione è quella della pulitura dei colori e dell’oro anneriti, con calce viva, cenere e sapone sciolti nell’acqua: in seguito i materiali trattati vengono ripassati con chiara d’uovo per ravvivare i colori e renderli brillanti.
Anche le maggiori autorità letterarie si preoccupano di “far rivivere” i vecchi monumenti. Tra questi spicca la grande personalità di Francesco Petrarca (1304–1374). Egli guarda con nostalgia ai monumenti dell'antica Roma precorrendo l'atteggiamento dei romantici nell'associare al rudere l'idea della fugacità del tempo. Alle fine di questo periodo storico, si gettano le radici per la nuova concezione del restauro. È a livello legislativo che si hanno le prime avvisaglie. Nel 1462 Papa Pio II (1405-1464) pone con un editto il veto alla distruzione e al riuso dei materiali, ricavati da monumenti
antichi per le nuove costruzioni. Si intraprendono i primi lineamenti di una ideologia che guarda al passato come patrimonio da salvaguardare e testimonianza da perpetuare nel presente e che si manifesta appieno con il Rinascimento.
Un’ulteriore novità è la seguente. Decade la figura dell'artista-schiavo, al cospetto di una nuova concezione lavorativa. Chi esegue il restauro è un artista, il quale ha piena libertà nell’esecuzione di un tale lavoro. Parlare di maestranze specializzate è ancora presto, in quanto restaurare significa reinterpretare l’antico in chiave moderna e non rispetto assoluto dell’opera d’arte in sé.
Il Rinascimento
Nel periodo della riscoperta del mondo antico, così come ci informa il Vasari (1511-1574), la principale fonte di
informazione per il periodo storico in esame, si gettano le radici per una nuova concezione del restauro. Finalmente si pone attenzione all’ aspetto artistico e storico del manufatto, con un intento diverso da quello moderno, che si afferma solo con Brandi. Il gusto del tempo, infatti, l’emulazione di gareggiare con gli Artisti greci e romani, portano i restauratori-artisti (nella cui cerchia si annovera anche artisti entrati nell’Olimpo degli Artisti: Donatello, Verrocchio ecc.) a considerare il restauro quale “strumento” per conseguire il recupero dell’esteriorità dell’opera: il suo valore artistico è riconosciuto solo in senso strumentale e si trascurano completamente i suoi aspetti materici.
Non che questi siano sconosciti. Proprio il fatto che si vuole imitare l’opera dei Classici, sottolinea quanto sia importante la valenza intellettualistica come presupposto di salvaguardia. Lo si può definire, quindi, un “Restauro integrativo e mimetico” e, pertanto, non esente dal rischio di scivolare facilmente nel rifacimento o nel falso vero e proprio. Ecco, quindi, l’attenzione che si presta anche all’aspetto storico dell’opera, che è bene ricordarlo, è concepito con una luce diversa rispetto alla concezione moderna, tutta protesa ad illuminare la sua piena legittimità con criteri ovviamente interpretativi e mimetici e non certamente filologici.
Il Seicento
Dalla seconda metà del Seicento si cominciano a diffondere dei manuali riguardanti la pulitura e la foderatura dei dipinti, oltre che il consolidamento degli intonaci di importanti proprietà private. Tra alcuni dei più celebri interventi su affreschi, descritti dai biografi degli artisti di quel periodo, è molto noto il restauro a Palazzo Farnese avvenuto nel 1693, come quello dei restauri di Carlo Maratta suLogge di Psiche alla Farnesina e le Stanze Vaticane, opere di Raffaello. Si tratta soprattutto di rifacimenti e ridipinture che mirano al recupero dell'aspetto originale. Su come si effettuava la manutenzione su degli edifici circolano dei manuali sulla prassi dell'intervento anche se questa era da osservare soprattutto nel caso di un bene ecclesiastico.
Il secolo è contrassegnato da una nuova vivacità artistica. Bisogna rinvigorire il Cristianesimo, messo fortemente in discussione dalle 95 tesi di Lutero (1483-1546) affisse alla porta del Duomo di Wittenberg. Per tale motivo, la tradizione cattolica conduce al “restauro devozionale” dei dipinti e statue dedicate al culto: ritocchi, “racconciature”, adattamenti, ridipinture, allo scopo di intervenire sui contenuti, per renderli compatibili alle nuove e più severe regole del culto contro riformato.
Di pari passo prende piede il gusto per l’antiquario. E anche in questo caso, molte opere sono “racconciate” con i gusti ridondanti, prettamente barocchi. Tale tipologia di restauro è molto criticata da quasi tutti gli scrittori di quest’epoca, che si occupano di cose d’arte. Fra di loro, spicca la personalità del Bellori, il qual
e, tuttavia, non esita ad esaltare il lavoro di quei pochi artisti che prediligono un modus operandi differente. Il biografo descrivendo i restauri del Maratta (1625-1713), li approva. La serie di interventi su importanti cicli di affreschi (a Palazzo Farnese, alla Farnesina, alla Loggia di Psiche e alle Stanze del Vaticano) fatti dall’ artista, a Roma, si inquadrano in un’ottica moderna. Il primo degli interventi fu proprio a Palazzo Farnese, nel 1693. Qui, provvede a consolidare staticamente l’edificio e a fissare gli intonaci con dei chiodi a “T” e pasta di gesso; altri interventi sono mirati alla pulitura, alla riadesione degli intonaci al muro, alle riprese pittoriche a secco, ecc..
Altro importante epilogo da ricordare è questo. Tra il 1702 e il 1703 è nelle “Stanze” di Raffaello. Un suo allievo redige un’accurata relazione tecnica dei lavori svolti. Si anticipa così la prassi moderna, avvalorata anche dai precedenti lavori che l’artista compie nella loggia della “F
arnesina”: è vero che Maratta ridipinge le zone più rovinate e costruisce ex novo delle parti perdute, ma tutte le operazioni sono dettagliatamente elencate per evitare che in futuro siano confuse con quelle originali.
Il Settecento e l'Ottocento

La pulizia dei dipinti alla National Galley: vignetta di John Leech su Punch Magazine(1847)
Il settecento si apre all’insegna delle novità. Un lungo dibattito caratterizza il secolo. Molteplici sono, infatti, le testimonianze scritte sugli interventi di restauro, le quali possono essere ricondotte, principalmente, su due grandi filoni. Da una parte, c’è chi afferma in questi interventi il principio di privilegiare quello che sarà poi chiamato “restauro meccanico”, inteso cioè ad agire il meno possibile sul manufatto, (rifiutando l’eliminazione della patina, ritocchi o integrazioni, in quanto falsificanti alterazioni dell’opera originale) dall’altra, chi legittima interventi diretti per restituire la sua completezza e leggibilità.
Figura di spicco fu Pietro Edwards, il quale lavorando al restauro di opere d’arte sottolinea quanto sia importante la documentazione e la catalogazione per stabilire priorità di interventi e chiarisce la necessità di una scuola per la formazione di restauratori, attività da distinguersi da quella di artista. Il restauratore diventa così, una categoria lavorativa ben definita. La sua formazione si arricchisce anche grazie alle recenti conoscenze chimiche e fisiche e dei materiali pittorici. L’enunciazioni di Edwards che ritroviamo nel suo scritto, “Progetto di una scuola di restauro delle pitture”, mostrano com’egli abbia individuato nella formazione professionale uno dei problemi fondamentali del restauro.
Malgrado le nuove scoperte scientifiche e i lunghi dibattiti sull’argomento, il lungo cammino, per l’affermazione delle moderne tecniche di restauro, trova un forte arresto a cavallo tra questo secolo e quello successivo, a causa delle distruzioni e confische operate da Napoleone Bonaparte.
Verso la fine del Settecento si ha la nascita dello studio storico-archeologico dei beni del passato, avvenuta a seguito degli scavi di Pompei ed Ercolano, alla riscoperta delle antichità greche ed alla scoperta di quelle egizie avvenuta con la campagna d'Egitto diNapoleone Bonaparte. Questo passaggio fondamentale della conoscenza dell'arte antica porta ad un cambiamento nel rapporto con le opere del passato (inizialmente limitato all'arte antica e successivamente esteso anche a quella medioevale), con la nascita del restauro modernamente inteso.
Proprio per questo quando Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1814-1879) scrive il suoDizionario ragionato dell'architettura francese dal sec. XI° al XVI° alla voce Restauroafferma che «la parola e la cosa sono moderne».
Proprio a seguito delle distruzioni e degli eventuali trasferimenti delle nostre ricchezze artistiche in Francia, a opera di Napoleone, molti artisti nostrani, si impegnano per la restituzione delle opere trafugate. Una lunga battaglia anima gli spiriti patriottici degli artisti italiani, soprattutto dopo la morte dello stesso Napoleone (1821). Tra questi si ricorda Canova, Milizia, Goya. Anche la Chiesa si interessa di “recuperare” le sue “cose”. Chiese, monasteri, ridotti a ruderi durante le battaglie napoleoniche e le successive soppressioni degli ordini monastici cominciano a risorgere dalle loro rovine. Proprio il secolo, infatti, ridona l’importanza perduta per secoli e secoli all’architettura.
Anzi, si può affermare che le strutture architettoniche sono oggetto di lunghi dibattiti (che si perpetuano ancora oggi) alla stregua delle opere mobili (quadri, sculture ecc.). Il restauro (in tutte le sue sfaccettature: architettonico, ligneo, dei metalli ecc.) è, ovviamente, l’argomento prediletto.
In campo architettonico si discute di restauro dal punto di vista estetico: l’attenzione per l’opera considerata nella sua unicità dirige il restauro verso caratteri di scientificità. Sono principalmente tre le concezioni del restauro che si affermano:
- Il restauro stilistico di Eugène Viollet-le-Duc
- Il restauro romantico di John Ruskin
- Il restauro storico – filologico di Camillo Boito e Luca Beltrami.
Il primo teorizza e pratica un restauro di ripristino o stilistico (per questo motivo non piace agli studiosi moderni); il secondo è, come Viollet–le-Duc, studioso e difensore del gotico, ma considera il restauro secondo un’ottica completamente diversa. Egli sostiene che un edificio è soggetto ad un’inevitabile fine che può essere solo rimandata di qualche tempo. Giudica errati gli interventi di ripristino e di completamento, perché l’opera d’arte è il frutto della creazione dell’artista e non è lecito travisare lo spirito che l’autore le ha voluto attribuire. L’opera va, quindi, tramandata ai posteri nel modo più autentico possibile, anche trattasi di un rudere ; i due italiani, infine, adottano una posizione “rivoluzionaria”. Prima Boito e poi il suo allievo Beltrami, conferiscono importanza al valore “documentario” dell’opera e, quindi, al rispetto dello stato in cui essa giunge, ritenendo importante limitare al minimo i rifacimenti, i quali, inoltre, devono essere riconoscibili. Le loro idee sono confluite nel documento sul restauro redatto dagli Architetti e Ingegneri nel 1884, ponendo le basi per il futuro restauro scientifico.
A sua volta, Beltrami affronta il restauro di ciascun edificio dopo aver compiuto un attento studio filologico e storico, il quale sfocia, tuttavia, non tanto nel rispetto della stratigrafia (quesito affrontato nel secolo successivo, segno tangibile della vicenda sociale del manufatto, quanto piuttosto nella reintegrazione formale di parti architettoniche anche attraverso la ricostruzione delle stesse, secondo i dettami del cosiddetto “restauro storico”. Pur tuttavia, tali concezioni storico-filologiche rappresentano i prodromi del restauro critico, in seguito sancito da Brandi, e vengono affermate nella Carta del Restauro Italiana del 1931.
Importanti sono i primi manuali di restauro: il primo è del tedesco Köstner (1827), cui seguono quello del torinese Bedotti, nel 1837, e contemporaneamente quelli di due studiosi italiani: di Ulisse Forni e di Secco-Suardo, sostenitori del restauro stilistico. Di contro si oppone, l’opuscolo di Cavalcaselle, “Opuscolo sulla conservazione dei monumenti e degli oggetti d’arte”, fautore del restauro filologico. Da segnalare anche le importanti campagne di restauro su monumenti tardo antichi e medioevali come i mosaici di Parenzo, quelli della cupola del battistero di Firenze, sulla chiesa di S. Maria in Cosmedin (Roma) che venne completamente “ripulita” dentro e fuori, eliminando la bella facciata settecentesca del Sardi, per riportarla al presunto aspetto paleocristiano. Ormai dunque, il restauro si appresta a diventare disciplina sia teorica che pratica, gettando a fine secolo quelle che, poi, saranno le prerogative di guida del restauro moderno: distinguibilità, reversibilità, compatibilità, rispetto dell’autenticità e “minimo intervento”: criteri affermatisi definitivamente con Brandi.
Verso la fine dell'Ottocento in Italia nascono due nuovi modi di intendere il restauro architettonico:
- Restauro storico, che afferma la necessità che le integrazioni all'opera debbano essere fondate su documenti storici (Luca Beltrami, Torre del Castello Sforzesco di Milano).
- Restauro filologico che ha come caposcuola Camillo Boito (1836-1914): riprende il concetto di riconoscibilità dell'intervento; prevede il rispetto per le aggiunte aventi valore artistico, che nel corso del tempo sono state apportate al manufatto; tutela i segni del tempo (pàtina).
Mentre nel restauro artistico i due caposcuola principali sono il bergamasco Giovanni Secco Suardo, che affianca le conoscenze scientifiche dell'epoca e lo scambio di informazioni tra restauratori europei per trarne linee metodologiche che raccoglie nel suo famoso "Manuale del restauro" ed il fiorentino Ulisse Forni che con il suo Manuale del pittore restauratore descrive nelle numerosissime schede le tecniche per risolvere qualsiasi problema si riscontri su affreschi, oli e tempere. Entrambi si riconoscono ancora nel concetto di ripristino dell'opera e nella necessità di eliminare i segni del tempo per riproporre, a volte interpretando, l'idea originaria dell'artista.
Il Novecento
All'inizio del Novecento si hanno i fondamentali contributi di Max Dvořák (1874-1921) e di Alois Riegl (1858-1905).
Riegl nel Der Moderne Denkmalkultus (1903) propone la cosiddetta Teoria dei Valorisecondo la quale il monumento ha più valori (storico-artistico, di novità, di antichità, ecc.) dei quali si deve contemporaneamente tener conto nell'ambito del restauro.
La prima metà del Novecento è dominata dalla figura di Gustavo Giovannoni (1873-1947), promotore di una sistematizzazione della teoria del restauro che va sotto il nome di Restauro scientifico. Giovannoni ritiene infatti necessaria la compartecipazione al progetto di restauro, sotto la direzione ed il coordinamento dell'architetto, di alcuni specialisti (chimici, geologi, ecc.) in grado di apportare utili contributi alla conoscenza del manufatto e delle tecniche di intervento.
Giovannoni propone inoltre di ricondurre gli interventi di restauro a varie categorie:
- Restauro di consolidamento, consistente nell'insieme di opere necessarie a ristabilire un adeguato livello di sicurezza statica.
- Restauro di ricomposizione o anastilosi, ovvero ricomposizione di un monumento frammentario del quale si conservino le parti.
- Restauro di liberazione, ovvero rimozione di superfetazioni ritenute di scarso valore storico-artistico.
- Restauro di completamento, con l'aggiunta di parti accessorie realizzate secondo il criterio della riconoscibilità.
- Restauro di innovazione che aggiunge parti rilevanti di nuova concezione che talvolta risultano necessarie per il riuso del manufatto.
Contemporaneamente però Ambrogio Annoni elabora la cosiddetta Teoria del caso per caso, ovvero la necessità di trattare ogni manufatto come opera a sé stante, rifuggendo teorizzazioni astratte a favore dell'analisi attenta dei documenti storici e del manufatto oggetto dell'intervento ritenuto documento principale.
Il dopoguerra in Italia e il restauro moderno
Nel secondo dopoguerra in Italia a seguito delle distruzioni belliche la teoria del restauro prosegue il distacco critico dalle posizioni filologico-scientifiche e si evolve verso il cosiddetto restauro critico.
Questa corrente ha al suo interno molte posizioni anche dialetticamente contrapposte. Fra i principali teorici di questa fase possiamo ricordare Roberto Pane, Renato Bonelli e Cesare Brandi. Quest'ultimo definisce il restauro «il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della trasmissione al futuro».
In questo contesto culturale si inseriscono i numerosi interventi di restauro e conservazione dell'architetto Franco Minissi.
Il progressivo estendersi del campo dei beni oggetti di tutela - dalle opere d'arte - ai beni di interesse etno-antropologico e di cultura materiale, mette in crisi le posizioni del restauro critico che impostava la sua teoria sull'artisticità del bene oggetto delle opere restaurative, e porta ad aumentare l'interesse per la conservazione materiale oltre che formale degli oggetti tutelati, interesse che vede fra i precursori Piero Sanpaolesi che elabora metodi per il consolidamento dei materiali lapidei.
Negli anni settanta del Novecento nasce la cosiddetta teoria della conservazione che rifiuta ogni tipo di integrazione stilistica, anche semplificata nelle forme, a favore dell'integrazione tra esistente - conservato in maniera integrale - e aggiunta dichiaratamente moderna. Tra i massimi esponenti di questa corrente ricordiamo Amedeo Bellini e Marco Dezzi Bardeschi.
Negli ultimi due decenni il contrasto fra teoria della conservazione e restauro critico è andato progressivamente attenuandosi con una convergenza verso le posizioni critico-conservative.
Solo alcune voci isolate propongono teorie radicalmente differenti. È il caso di Paolo Marconi, che parte dal presupposto che in architettura non esista il concetto di autenticità materiale (perché la concezione e l'esecuzione dell'opera appartengono a persone differenti) e giunge a posizioni che riprendono in larga parte le teorie ottocentesche del restauro stilistico e storico. Opponendosi ai principi di riconoscibilità dell'intervento e di semplificazione delle integrazioni, propone invece la rifazione a l'identique delle parti mancanti o alterate.
Bibliografia
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- Umberto Baldini, Teoria del restauro e unità di metodologia (2 voll). Firenze, Nardini Editore, 1978-1981, ISBN - 88-404-4001-1
- Marco Dezzi Bardeschi, Restauro: Punto e da capo, Milano, 1991 ISBN 88-204-9752-2
- Paolo Marconi, Il restauro e l'architetto, Venezia, 1993 ISBN 88-317-5759-8
- Massimo Carmassi, Approcci Metodologici, Progetto di restauro, Metodologie di progettazione del Restauro, in Il Manuale del Restauro Architettonico, (direttore scientifico L. Zevi), Mancosu Editore, Roma, 2001, PP. 151-211 ISBN 88-87017-00-X
- Alessandro Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano, Electa, 2002, # ISBN 88-435-9821-X
- Cristina Giannini (a cura di), "Dizionario del restauro", Firenze, Nardini Editore , 2003, ISBN 88-404-4065-8
- Benito Paolo Torsello, Che cos'è il restauro? - nove studiosi a confronto,Venezia, Marsilio Editore, 2005, ISBN 88-317-8645-8
- Maria Andaloro (a cura di) La teoria del restauro nel Novecento: da Riegl a Brandi. Atti del Convegno Internazionale (Viterbo, 12-15 novembre 2003), Firenze, Nardini editore, 2006, ISBN 88-404-4097-6
- Marco Ciatti (con la collaborazione di Francesca Martusciello), Appunti per un manuale di storia e di teoria del restauro, Firenze, Edifir, 2010, ISBN 978-88-7970-346-8
- Giovanni Manieri Elia, Metodo e tecniche del restauro architettonico , Carocci, Roma 2010, ISBN 978-88-430-5287-5.
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